Osservare un’opera d’arte significa aprirsi alla voce e al pensiero di qualcun altro, di una persona che noi reputiamo capace di insegnarci qualcosa; perciò si definisce l’autore Maestro. Quest’idea è ancor più vera se l’artista appartiene ad una cultura diversa dalla nostra, perché oltre la propria voce ci introduce ad una filosofia e a un differente modo d’intendere e spiegare la vita. Oggi occorre non solo aprirsi, ma anche conoscere i tratti essenziali di un’altra cultura perché EmmeReports Arte incontra Navid Azimi Sajadi.
Abbiamo già conosciuto le opere del Maestro persiano nel precedente articolo su “Oriente e Occidente Allegorie e simboli della tradizione mediterranea”. Ora gli chiediamo di introdurci nel mondo misterioso e simbolico della sua arte.
Come nasce il suo universo figurativo, antico, complesso e straordinariamente articolato?
“Nella mia vita ho tentato di amalgamare storia, simboli, culti e differenti culture attraverso la mia esperienza personale: sono persiano, il mondo mediterraneo l’ho acquisito successivamente, ma con il passare degli anni dentro di me queste culture si sono fuse, trovando una loro omogeneità. Cerco di armonizzare l’arte mediorientale con il mondo occidentale, la letteratura mistica persiana, i riferimenti religiosi e mitologici dal mondo antico con i segni della società contemporanea: sono i confini di questo spazio metaforico dentro i quali scorre il mio lavoro. È come se, utilizzando una chiave di lettura contemporanea, rappresentassi un atlante visivo che va dall’Asia minore fino al Mediterraneo. Con i simboli creo un racconto polifonico che porta lo spettatore dentro la mia esperienza personale, vissuta tra Oriente e Occidente”.
Perché i simboli sono così importanti?
“Le immagini e i simboli volano e viaggiano tra noi e le geografie, si incrociano fra le culture e intrecciano la storia dei popoli; si sposano, emigrano, cambiano l’identità e i loro significati mutano in base alle necessità dell’epoca e alla geografia politica. Come il pensiero e la letteratura i simboli ci dominano e noi navighiamo da una cima all’altra di queste montagne culturali che spuntano dal Mare Nostrum e ci sembrano isole, mentre hanno radice comune e sono parti di un unico corpo. Tutti i segni, dai geroglifici al QR code, dai graffiti delle caverne alla Street art, sono la nostra autobiografia e ci ricordano come abbiamo partecipato alla danza cosmica”.
Parliamo ora della Sicilia araba e normanna, ancora oggi nei parchi a Palermo sembra d’essere immersi in un’oasi carezzata dal vento. Perché la palma è diventata un simbolo importante?
“La palma ormai rappresenta la vegetazione tipica di Palermo, è un simbolo di vittoria e richiamo religioso. Secondo un detto arabo, questa pianta cresce con la testa al sole e le radici nell’acqua, è un segno di vita nelle vaste distese del deserto e simboleggia così la rinascita. Nella Sicilia araba, però, la palma diventa elemento di giardini sontuosi e fiabeschi, in cui pullula la vita. Nei giardini vivevano molte specie di animali, dai pesci agli uccelli, ma solo uno spiccava per la sua grande bellezza: il pavone.
Nel disegno di un vaso ho raffigurato un pavone che diventa anche una palma, creando un unico simbolo: sono entrambe figure rappresentate nei mosaici e la loro combinazione celebra al meglio l’arte arabo normanna. Una leggenda Sufi ci racconta che Dio creò lo spirito sotto forma di un pavone, dalle gocce del suo sudore nacquero tutti gli altri esseri. L’aprirsi della sua coda è il simbolo dello spiegamento cosmico dello Spirito; facendo la ruota esprime la grandezza dell’universo attraverso i suoi cento occhi, che sono stelle, sole, luna e l’intera volta celeste”.
Palermo, oltre al ricordo dei giardini arabi popolati di pavoni, ha anche un altro uccello simbolo. Cosa rappresenta?
“L’aquila è il riferimento storico allo stemma degli Altavilla, ma esprime anche il rapporto tra gli uccelli magici la vegetazione e gli alberi. È un rapporto ormai dimenticato ma evidente nei capitelli e nei mosaici del tempo normanno; l’aquila è anche Sīmurgh: la Fenice. Nella mitologia persiana l’uccello Sīmurgh viveva sull’albero dei Semi, da cui erano generate tutte le piante selvatiche; quest’albero e quello dell’Immortalità crescevano vicini.
Simurgh, posandosi sui rami, aiuta la caduta dei semi a terra e diffonde la vita naturale; è una suggestione ma anche Palermo, circondato dalla Conca d’oro, può essere figlia di questo mito: una terra fecondata dai continui doni della Fenice”.
La palma, gli uccelli magici e la terra opulenta sono simboli di cui ancora sentiamo la forza, altri invece ci sono rimasti estranei. Lo scorpione, ad esempio, forse perché è un essere legato al deserto?
“Può essere. Purtroppo in alcune culture occidentali lo scorpione ha un’aura negativa, in quelle mediorientali non sempre è così. Per i popoli dell’antico Egitto e del Tibet questo animale è simbolo di protezione contro i nemici e per questo si indossavano amuleti a forma di scorpione. Per me invece è un riferimento personale, il mio segno zodiacale, ma rappresentarlo mentre trascina via una casa diventa un riferimento autobiografico, legato alla perdita di mia madre”.
Nelle sue opere vediamo anche elementi tipici delle pratiche devozionali?
“Sì, mi ha sempre colpito e affascinato la tradizione culturale delle cappelle con gli ex voto e ho cercato di citarla nei miei lavori dove troviamo alcune forme anatomiche, come la gamba, la testa, il cuore. Nei miei disegni questi elementi sono affiancati ad altri oggetti, come case o aquile: tutti assieme costituiscono il mio ex voto personale”.
Può farmi un esempio di un simbolo che non ha riscontrato così spesso nella nostra tradizione figurativa?
“Sì, le farfalle: in molte culture sono metafora della metamorfosi completa, così come accade nel passaggio dalla vita verso la morte. Per questo motivo in Persia diventano simbolo dei trapassati e degli Avi, per via delle fasi che l’animale attraversa. Il processo di metamorfosi è un ciclo che ben descrive l’evoluzione della nostra anima”.
Comprendere che i nostri simboli non sono esclusivi e che il loro significato ci appartiene comunque, pur nelle sottili differenze di tradizioni e linguaggi, è la chiave di un’identità culturale più antica e vasta, capace di unire universi apparentemente inconciliabili. Una porta che si apre per noi, attraverso l’iridescente bellezza delle ceramiche di Navid Azimi Sajadi.
Oriente e Occidente. Allegorie e simboli della tradizione mediterranea
Installazioni di Navid Azimi Sajadi – Monreale, Complesso monumentale Santa Maria Nuova
di Massimiliano Reggiani – EmmeReports