Nel silenzio di questo autunno senza visitatori, con la sognante bellezza delle antiche chiese libere dal turismo di massa, si trova più facilmente la via della riflessione e della preghiera. Nello spazio del sacro, in questa rara e religiosa quiete, diventano ancora più significativi i tre allestimenti sulle comuni radici spirituali fra levante e ponente realizzate dall’artista persiano Navid Azimi Sajadi.
Grazie all’evento “Oriente e Occidente Allegorie e simboli della tradizione mediterranea”, curato da Lina Bellanca e Alessandro Carlino, il complesso benedettino di Santa Maria Nuova, a Monreale, si è infatti arricchito di nuove e profonde sollecitazioni culturali che ci portano a guardare la nostra spiritualità come un ramo rigoglioso di una pianta millenaria. La Sicilia ne rappresenta una delle parti più belle, creatrice di nuovi equilibri amalgamando forme e linguaggi apparentemente lontani. Proprio perché non possediamo più questa sapienza antica capace di accogliere culture differenti è giusto approcciarci alle opere lasciando parlare chi porta con sé altri rami e fiori nati da questa radice comune.
EmmeReports intervista oggi Ashkan Zahraei, sulle opere del maestro Sajadi.
L’eredità arabo normanna presente in Sicilia è stata letta da Navid Azimi Sajadi come mera archeologia o dopo mille anni l’ha ritrovata ancora riconoscibile e pulsante?
“L’allestimento realizzato per il Duomo di Monreale, dove Navid ha iniziato il suo viaggio alla scoperta del tempo e dello spazio arabo-normanno, è insieme partenza e meta: dal Duomo, con il suo ricco repertorio di allusioni interculturali, alla Cappella Palatina con lo spettacolare muqarnas, alle pitture bizantine e ai vasti riferimenti visivi del Medio Oriente, alla chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, dove ha osservato l’intreccio più profondo tra quegli elementi culturali. È stato così che il sogno di Navid si è trasformato in un’allegoria a ritroso nei secoli, immersa in conoscenze personali che erano rimaste ferme, mentre la storia si allontanava sullo sfondo.
Quando a Palermo incontrò un gruppo di anziani placidamente seduti a chiacchierare, senza alcuna urgenza o senso del tempo, lo vide come un segno sul suo cammino, in questa nuova esperienza doveva esserci una scala temporale diversa per comprendere la portata delle cose che conosceva bene, dei simboli, degli elementi scatenanti le sue visioni. In questo senso le tre installazioni ideate per il Duomo di Monreale sono andate oltre la mera rivisitazione del passato, diventando la manifestazione corporea di una stretta comunanza che a ogni incontro può rinnovarsi nel presente”.
“Oriente e Occidente” presenta tre installazioni di Navid Azimi Sajadi, dalla meditazione del chiostro alle radici storiche fin dentro lo spazio sacro del Duomo. Può spiegarci questa successione?
“Il primo incontro di Navid con il chiostro è stato come aprire un’enciclopedia. Guardarne lo spazio, l’atmosfera e le colonne è stato come trovarsi al centro di un coro, con voci delicate che cantavano a ogni angolo. Per questo Navid ha cominciato da un angolo del chiostro. Seguendo le tradizioni mediterranee e mediorientali che vedono il colore oro come manifestazione fisica della luce, sono stati dipinti due motivi a stella in foglia d’oro intrecciati a formare un disegno che ricorda una costellazione.
Su ognuno degli incroci sono montate dieci piccole opere dipinte a mano, nelle quali storie e simboli raffigurate nei capitelli si uniscono a esperienze personali dell’artista. Un reticolo di metallo collega queste storie in un corpo incatenato dentro un mondo di luce. La luce incontra i sogni le cui vie sono ancora tutte da vivere e da scoprire”.
Poi viene la storia, raccolta nella Sala di San Placido del Museo Diocesano e raccontata citando antichi vasi e maschere funerarie.
Come spiegare la seconda installazione?
“Si entra nel Museo e qui, al centro, è sistemata una piramide d’oro che crea uno spazio e un’architettura alternativa alla sala, sebbene da questa ispirata e sviluppata a partire dal decoro del pavimento di marmi policromi. Sulla piramide sono montate cinque urne dipinte a mano, quattro agli angoli e una al vertice.
Ognuna delle quattro urne angolari accoglie un corno, che simboleggia una presenza più che un personaggio: in questo senso le urne sono contenitori il cui interno è inaccessibile, ciononostante la loro presenza viene osservata e vissuta dall’osservatore. L’ultima urna, al vertice della piramide, ha due facce opposte rivolte verso la vista panoramica e suggerisce la presenza di un flusso più profondo di narrazione, che sta al di sotto delle forme esteriori”.
Si accede infine nella Cappella di San Benedetto, uno scrigno di bellezza barocca. L’opera di Navid Azimi Sajadi, però, esce concettualmente dalla cappella e compendia l’intera storia di Santa Maria Nuova, dalla fondazione concreta alla pienezza atemporale dello spazio sacro.
Come viene rappresentata?
“Entrando nell’area del Duomo riservata alla preghiera ci troviamo di fronte all’elemento culminante delle tre installazioni: la grande figura di un serafino che si espande in tre direzioni a simboleggiare la Trinacria, le tre punte del triangolo che forma la Sicilia. L’angelo è ispirato al rilievo del capitello dove Re Guglielmo II dona il Duomo alla Vergine e in cui l’edificio è sorretto proprio dal serafino. Nell’installazione le sue ali collegano le due strutture architettoniche, simboleggiano il duomo stesso, la vicenda della sua costruzione e l’architettura claustrale”.
Oriente e Occidente. Allegorie e simboli della tradizione mediterranea
Installazioni di Navid Azimi Sajadi – Complesso monumentale Santa Maria Nuova – Monreale
di Massimiliano Reggiani – EmmeReports