A pochi giorni dall’anniversario della sua nascita, parlerò di una figura storica e mitologica, che ha segnato il culmine e la fine del banditismo siciliano: Salvatore Giuliano.
Se la sua morte ancora ad oggi è avvolta nel mistero, altrettanto avvincente e incredibile è stata la sua figura in vita, mista tra banditismo, patriottismo siciliano, governo e mafia. Una immagine a dir poco romantica di un Robin Hood in salsa prettamente sicula.
Salvatore nasce a Montelepre il 16 novembre del 1922 da Maria Lombardo e Salvatore Giuliano Sr. che apparteneva a quel ceto, particolarmente benestante, rispetto agli altri contadini del posto perché il padre era stato un “bird of passage”.
Quest’ultima era una categoria di migranti che contraddistinse gli italiani partiti per l’America dall’unità d’Italia fino agli anni ’10 del 1900; connazionali che andavano a lavorare negli Stati Uniti temporaneamente, raccogliendo una somma di denaro per poi tornare in patria e vivere la propria vita in maniera un po’ più agiata.
Coi soldi accumulati, il padre di Salvatore comprò più terreni da coltivare ed il figlio dopo la terza elementare, iniziò ad aiutare la famiglia a lavorare i campi, riuscendo comunque a finire gli studi.
La sua latitanza cominciò durante l’occupazione alleata, mentre lavorava come fattorino per la società elettrica di Palermo. Il 2 settembre del 1943, fu fermato da un posto di blocco dei Carabinieri che lo avevano colto con due sacchi di frumento provenienti dal mercato nero a Quattro Mulini, nei pressi di Montelepre. Colto in flagrante, estrasse una pistola ottenuta da un soldato jugoslavo barattata per un fiasco di vino e uccise il giovane Carabiniere Antonio Mancino, ferendo gravemente l’appuntato Renato Rocchi.
Da questo momento inizia ufficialmente la latitanza di Salvatore Giuliano.
Durante lo stesso anno, il 23 dicembre 1943 uccise il Carabiniere Aristide Gualtiero durante una perquisizione a casa della famiglia, sospettata di dargli in quel periodo asilo.
L’anno successivo la Banda Giuliano prenderà vita dopo aver fatto evadere dal carcere di Monreale alcuni suoi parenti, unitamente ad altri suoi compaesani alcuni dei quali diventeranno il suo nucleo operativo.
Da qui inizieranno le rapine e i sequestri di persona a scopo di estorsione ai danni di persone appartenenti a ceti benestanti.
Godeva dell’appoggio del ceto contadino, di cui era nativo, e in giro si diffuse il Mito di un Robin Hood siculo, anche se in realtà vigeva più un sentimento d’omertà mista all’intimidazione e a quel tipico ragionamento che “ingraziarsi il capobanda di turno è sempre un bene”.
La sua banda era diventata nota alla cronaca nera per la ferocia con cui eliminava le vittime che spesso erano appartenenti alle forze dell’ordine o persone sospettate di essere confidenti di polizia.
Il numero delle vittime cresceva fino a raggiungere 430.
Nonostante Salvatore Giuliano conoscesse quei monti che collegano una fetta non indifferente della provincia di Palermo come le sue tasche, va detto che la sua banda non avrebbe potuto operare senza il benestare degli “uomini d’onore”.
Infatti, il suo secondo, Gaspare Pisciotta ha riferito che aveva partecipato al classico rituale della “Punciuta” (che sancisce l’adesione alle cosche o che ne segna il benestare), in presenza di alti esponenti di Cosa Nostra.
Altra conferma arrivò anche da un pentito e collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo che nel 1992, disse: «Giuliano era un uomo d’onore, mentre tutti gli altri appartenenti alla sua banda non lo erano. Non fu detto di quale famiglia si trattasse, ma ritengo ovvio che egli appartenesse alla famiglia di Borgetto o di Partinico».
Rispetto ad altri banditi, Salvatore Giuliano fu coinvolto dal fattore ideologico e nella fattispecie si distinse per essere un fervente indipendentista siciliano, anticomunista che strizzava l’occhiolino all’americanismo.
Fatto sta che attirò le attenzioni di alcuni capi del Movimento Indipendentista Siciliano tra i quali Concetto Gallo e il figlio del barone Lucio Tasca Bordonaro, che gli proposero di entrare di nell’EVIS (Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia) nel 1945.
Salvatore Giuliano accettò solo dopo aver richiesto, pattuito e preso da loro la somma di 10 milioni di lire, il grado di Colonnello e la promessa di ricevere armi e rifornimenti.
Da quel momento il Movimento Indipendentista Siciliano iniziò a pompare la figura di Giuliano come un combattente per la Sicilia ed un eroe impegnato nella lotta contro i nemici di dentro e di fuori.
La sua banda iniziò la guerra allo Stato compiendo imboscate e assalti alle caserme dei Carabinieri di Bellolampo, Pioppo, Montelepre e Borgetto ed alcune di queste furono anche occupate.
Nel gennaio 1946 la banda Giuliano attaccò la sede della Radio di Palermo.
La reazione dello Stato non aspettò a farsi sentire: per contrastare la guerriglia separatista, il 29 settembre 1945, con un decreto legislativo luogotenenziale del principe Umberto di Savoia, fu costituito l’Ispettorato generale di Polizia in Sicilia, con una forza di 1123 elementi, di cui 760 dell’Arma dei Carabinieri e il resto del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza. Al comando fu messo un ispettore generale di P.S., alle dirette dipendenze del Ministero dell’Interno.
I sicilianisti iniziarono a fare retromarcia, decidendo di aderire alle elezioni per l’Assemblea Costituente della Repubblica Italiana e ancor più l’indipendentismo perse colpi con la creazione dello Statuto Speciale siciliano voluto da Re Umberto II di Savoia, due settimane prima del Referendum.
Infine, con l’amnistia Togliatti, i sicilianisti ritornarono sui loro passi, abbandonando Salvatore Giuliano e prendendo ogni distanza da lui.
La sua banda continuò le solite incursioni e da moderno Robin Hood siciliano, per i compaesani, diventò un efferato criminale.
Un drammatico punto di svolta si ebbe il primo maggio del 1947 con la strage di Portella della Ginestra, località tra Piana degli albanesi e San Giuseppe Jato.
Oltre al giorno dei Lavoratori si festeggiava la vittoria della coalizione tra PSI e PCI, riunita nel Blocco del Popolo, alle recenti elezioni per l’Assemblea Regionale Siciliana, dove aveva conquistato 29 rappresentanti su 90.
Improvvisamente la banda Giuliano incominciò a sparare sulla folla dal vicino monte Pelavet, per circa un quarto d’ora, uccidendo undici persone e ferendone altre ventisette.
Salvatore Giuliano non mancò di scrivere una lettera al presidente degli Stati Uniti Harry Truman, in occasione di Portella della Ginestra, in cui chiedeva aiuti per l’indipendenza della Sicilia dall’Italia e la possibilità di farla diventare la 49° stella USA, utilizzando come tramite il giornalista Mike Stern al quale concesse un’intervista.
Voglio riportare per intero la lettera scritta da Giuliano:
«Caro Presidente Truman, se non vi disturbo, e se il mio messaggio non vi trova mal disposto, vogliate accettare l’umile appello di un giovane che è molto lontano dall’America, per quanto sia assai noto, e vi chiede aiuto per la realizzazione di un sogno che fino a oggi non è riuscito ad avverare.
Permettete che mi presenti. Il mio nome è Salvatore Giuliano. I giornalisti hanno fatto di me o un eroe leggendario o un delinquente comune. Suppongo che nemmeno voi abbiate un’idea chiara di quel che io sono.
Se voi me lo permettete, vi dirò in breve la mia storia nella sua vera successione. Quando avevo ventun anni – per la precisione nel settembre del 1943 – dopo una rissa che mi portò a uccidere un poliziotto italiano, il quale aveva cercato di ammazzarmi, diventai un fuorilegge. Non mi restava altro che il mio sublime e sacro attaccamento alla mia terra siciliana. Sono stato annessionista sin dalla fanciullezza, ma a causa della dittatura fascista, non ho potuto mostrare palesemente i miei sentimenti. Per quanto fossi latitante, seguivo da vicino la libertà politica portata dagli americani, e solo allora pensai di avverare quello che per tanto tempo era stato il mio sogno. Per tradurre in realtà il mio ideale mi unii ai membri del Movimento per l’indipendenza siciliana. Il nostro sogno era di staccare la Sicilia dall’Italia, e poi di annetterla agli Stati Uniti.
Nel 1944 i muri della maggior parte delle città siciliane, compresa Palermo, furono coperti di manifesti in cui si vedeva un uomo (io stesso) che taglia la catena che tiene la Sicilia legata all’Italia, mentre un altro uomo, in America, tiene un’altra catena a cui è unita la Sicilia. Quest’ultimo è il simbolo della mia speranza che la Sicilia venga annessa agli Stati Uniti.
Per spiegarmi meglio accludo la fotografia… Ci occorre la cosa più essenziale: il vostro appoggio morale. Voi potreste, e a ragione, chiedere: “Qual è il fattore più importante che vi spinge a questa lotta per la separazione dall’Italia? E inoltre, perché volete che la vostra splendida isola diventi la 49′ stella americana?”
Ecco la mia risposta:
I – Perché con la guerra perduta, noi ci troviamo in uno stato disastroso, e cadremo facilmente preda degli stranieri, specialmente dei russi, che ambiscono ad affacciarsi sul Mediterraneo. Se questo dovesse accadere, ne deriverebbero conseguenze di enorme importanza, come voi sapete.
II – Perché in 87 anni di unità nazionale, o, per essere esatti, in 87 anni di schiavitù all’Italia, siamo stati depredati e trattati come una misera colonia. Come scrisse giustamente Alfredo Oriani in uno dei suoi articoli “il cancro legato al piede dell’Italia”.
Non vogliamo assolutamente rimanere uniti a una nazione che considera la Sicilia una terra di cui ci si serve solo in caso di bisogno, per poi abbandonarla come una cosa cattiva e fastidiosa, quando non serve più.
Per queste ragioni noi vogliamo unirci agli Stati Uniti d’America. La nostra organizzazione è ormai interamente compiuta; abbiamo già un partito antibolscevico pronto a tutto, per eliminare il comunismo dalla nostra amata isola. Non possiamo tollerare più oltre il dilagare della canea rossa. Il loro capo, Stalin, che come voi ben sapete, manda milioni su milioni per conquistare il cuore del nostro popolò – con il solito sistema politico basato sulla falsità – ha in qualche misura incontrato i favori della popolazione. Ma noi, fortunatamente, noi non crediamo al paradiso che Stalin ci ha promesso. Noi risveglieremo la coscienza del popolo, scacciando il comunismo dalla nostra nobile terra, che fu fatta per la democrazia. Noi non permetteremo a questa gente ignobile di toglierci la libertà, che per noi siciliani è il più essenziale e il più prezioso elemento di vita…
Signore, vi preghiamo di ricordare che centinaia di migliaia di uomini aspettano d’essere liberati.
Permettete, caro signore, che vi ossequi il vostro umilissimo e devoto servitore Giuliano»
In seguito all’eccidio di Portella della Ginestra, Salvatore Giuliano continuò i suoi attentati verso le leghe contadine e sedi del PCI di Monreale, Carini, Cinisi, Terrasini, Borgetto, Pioppo, Partinico, San Giuseppe Jato e San Cipirello, rilasciando volantini portanti la sua firma dove incitava i siciliani a ribellarsi al comunismo.
Negli ultimi anni di vita, avendo ormai chiaro di essere un personaggio fortemente scomodo e che presto sarebbe stato braccato, scrisse una lettera a l’Unità dove dichiarava di aver avuto rapporti con Mario Scelba. Contestualmente, la sua banda uccideva Santo Fleres, capomafia di Partinico.
A Bellolampo, Il 19 agosto 1949 ci fu la strage di Bellolampo-Passo di Rigano, sempre capeggiata dal bandito Giuliano: in questo eccidio persero la vita sette carabinieri, mentre altri undici rimasero feriti, tra cui il colonnello Ugo Luca.
In seguito all’attentato, fu creato il Comando forze repressione banditismo con al comando lo stesso Ugo Luca e di cui faceva parte anche Carlo Alberto Dalla Chiesa. Attraverso delle soffiate provenienti da ambienti mafiosi furono arrestati molti componenti della banda di Giuliano.
Salvatore Giuliano morì il 5 luglio del 1950 a Castelvetrano, nel cortile dello studio di un avvocato. Il comunicato ufficiale diceva che era morto durante uno scontro a fuoco con i Carabinieri.
Curiosità sulla morte.
La versione ufficiale della morte di Salvatore Giuliano lasciò tutti increduli e di fatto nessuno credette a quella versione, in quanto la scena del crimine, presentava troppe incongruenze.
Il giornalista de L’Europeo Tommaso Besozzi pubblicò un’inchiesta sull’uccisione di Giuliano dal titolo “Di sicuro c’è solo che è morto”, nella quale mise in luce le incongruenze della versione data dai Carabinieri sulla morte del bandito e indicò come suo assassino Gaspare Pisciotta.
Lo stesso Pisciotta che in realtà aveva sempre mantenuto rapporti coi Carabinieri, ne divenne collaboratore ed ammise di essere l’assassino di Giuliano, uccidendolo nel sonno nella casa di Castelvetrano dove si nascondeva.
Il cadavere del bandito sarebbe poi stato trasportato nel cortile della casa stessa, dove gli uomini del Colonnello Luca e del Capitano Perenze inscenarono una sparatoria per permettere a Pisciotta di fuggire e continuare così la sua opera di confidente sotto copertura.
Successivamente nel 1954 Pisciotta fu avvelenato nel carcere dell’Ucciardone dopo aver bevuto del caffè con della stricnina (veleno per topi).
La morte di Salvatore Giuliano fu per lungo tempo coperta dal Segreto di Stato e sembra che vi fossero svariate e differenti versioni.
Lo storico Giuseppe Casarubbea sostenne che il corpo esamine di Giuliano trovato a Castelvetrano, fosse quello di un sosia e che lui fosse morto anni dopo a Napoli, avvelenato con un caffè al cianuro.
Senza dubbio Salvatore Giuliano non era l’eroe romantico che i sicilianisti hanno dipinto nel periodo in cui era Colonnello dell’EVIS, ma era un autentico combattente.
Per quanto molte sue azioni criminali siano condannate ed ingiustificabili, posso affermare con certezza che è stato il solo, vero sicilianista che la Sicilia abbia mai avuto, abbandonato dai sicilianisti stessi.
Se proprio devo prospettarmi una degna fine per un combattente del suo calibro, preferisco pensare che la versione ufficiale data dai carabinieri, corrisponda a verità perché è quella che più gli si addice. Contrariamente a quel vile assassinio durante il sonno.
di Vittorio Emanuele Miranda – EmmeReports