Dal 31 ottobre al 2 di novembre è consuetudine, soprattutto sui social, assistere all’eterno scontro tra le tifoserie ultras pagane e cristiane che si contendono “l’originalità” e la paternità della tanto famosa celebrazione dei morti.
E’ facile in queste ore leggere gli stridii lanciati da parte dei cristiani “Feste sataniche!” mentre da parte dei pagani vedremo la classica pronta risposta di “Usurpatori di culti!”.
Devo ammettere comunque che utilizzano un livore tale da ricordarmi gli anziani che passano i pomeriggi al bar di un qualsiasi paese italiano, che stanno per auto annunciarsi la briscola mentre stanno per scaraventare sul tavolo, la fatidica carta vincente che concluderà partita.
Solo che comunque, tali tifoserie, se studiassero seriamente la Storia, scoprirebbero un mondo del tutto nuovo che va ben oltre i rigurgiti personali, che non hanno che vedere con determinati culti.
Fatta questa premessa darò dei cenni storici riguardo la festività della connessione tra il mondo dei vivi e quello dei morti, che in realtà è stata sempre celebrata in tutto il mondo, da culti diversi.
Infatti la festa dei morti era celebrata presso Roma antica ed aveva il nome Paternalia, iniziava il 13 febbraio e si concludeva con i Feralia il 21 dello stesso mese.
Con Feralia, dal latino “doni ai morti”, sostanzialmente si ricordavano i propri cari defunti e si offrivano dei doni ai Mani, le divinità buone e dell’oltretomba che aiutavano i vivi a placare gli spiriti dei defunti e garantire loro pace.
Per l’occasione, Ovidio scriveva «Si contentano di poco i Mani, apprezzano di più la devozione che non i ricchi regali; non c’è avidità tra gli Dei che affollano le rive dei fiumi infernali. Basta una tegola della casa, che sia coperta da una ghirlanda, qualche chicco di grano, una manciata di sale, del pane inzuppato nel vino, qualche violetta».
Dirò di più, i romani non avevano soltanto la festa dei morti che ricorda tanto il nostro 2 novembre, ma anche la cosiddetta festa degli spiriti che rimanda all’attuale festività di Halloween: il Mundus Cereris.
Il Mundus era una fossa posta nel santuario di Cerere e consacrata agli dèi Mani, dalla forma circolare a ricordare la volta celeste e l’universo tutto. Tale pozzo aveva anche la forma simbolica di un utero rovesciato (perché Cerere era la divinità della terra e della fertilità – in età preromana era anche una dea madre – ed il collegamento tra il mondo dei vivi e quello dei morti, proveniva dalle profondità della terra) che veniva scavato al centro della città al congiungimento degli assi di decumano e cardo.
La fossa rimaneva chiusa per tutto l’anno ad eccezione di tre giorni in cui vi era il Mundus Patet (mondo aperto).
I tre giorni designati per l’apertura del mundus, erano il 24 agosto, il 5 ottobre e l’8 novembre e per l’occasione ogni attività ufficiale veniva bloccata, in quanto il collegamento tra i due mondi era attivo ed era una funzione purificatoria degli spiriti.
Mundus, in latino assume anche il significato di “mondare”, a conferma della convinzione che gli spiriti vagassero per la città durante le festività: un po’ come fanno fantasmi, scheletri e zucche ghignanti nella festa di Halloween.
Dunque, non sorprendetevi se nel centro-nord Italia, tali cose apparissero anche in tempi moderni, da molto prima dell’avvento della globalizzazione. Questo a riprova che in Italia, agli amici d’oltralpe, non abbiamo proprio nulla da rubare.
Venendo ad Halloween ed alle sue origini, chi sostiene che tale celebrazione avesse a che fare con Lucifero ed accoliti, mi spiace deluderlo, ma ahimè prende un granchio. Questa festività trae le sue origini nel Samhain: il cosiddetto capodanno celtico celebrato tra il 31 ottobre ed il 1° novembre.
Il Samhain più che essere un vero e proprio capodanno, era una festività agricola (considerando che quei popoli seguivano i cicli lunari) nella quale era contemplato l’ultimo raccolto dell’anno (31 ottobre) e la preparazione del terreno da coltivare (1 novembre) per il nuovo anno
I romani, a contatto con i celti, identificarono questa festività con il loro Mundus Cereris.
Senza dubbio i celti davano un valore spirituale non da poco alla cosa, soprattutto gli Irlandesi (dalla quale prendiamo l’attuale versione di Halloween e i vari Jack o’ lantern, zucche, dolcetto o scherzetto).
In Irlanda questa sarebbe stata Fleadh nan Mairbh (Festa dei Morti) ed era il periodo più magico dell’anno: il giorno che non esisteva.
Durante la notte il grande scudo di Scáthach veniva abbassato, eliminando le barriere fra i mondi e permettendo alle forze del caos di invadere i reami dell’ordine ed al mondo dei morti di entrare in contatto con quello dei vivi.
I morti avrebbero potuto così ritornare nei luoghi che frequentavano mentre erano in vita, e celebrazioni gioiose erano tenute in loro onore.
Veniamo quindi al cristianesimo e alla sua variante con Ognissanti.
La festa di Ognissanti il primo di novembre fu istituito da Papa Gregorio IV nell’840 D.C. per creare una continuità con le religioni passate.
Tesi che ebbe grande approvazione e diffusione tra studiosi vari anche se lo storico inglese Ronald Hutton fece osservare che in realtà Ognissanti era già in uso secoli prima ed era celebrato con date diverse a seconda delle popolazioni.
Ad esempio, in Irlanda la festa di Ognissanti era il 20 aprile, in Inghilterra e Germani era il 1º novembre, ma la data più diffusa era addirittura il 13 maggio.
Quindi in realtà l’intento di Gregorio IV sarebbe stato più quello di dare una data unica per tutti e poteva non avere a che vedere con la continuità passata.
Sempre lo storico Hutton sostenne che non ci sarebbero prove che il Samhain avesse a che fare coi morti, e che la Commemorazione dei defunti iniziò ad essere celebrata solo in seguito e cioè nel 998 D.C.
Anche se il 2 novembre per il cristianesimo è una celebrazione ufficiale come “festa dei morti”, la Sicilia vanta il primato nella tradizione del culto dei morti.
Al mattino del 2 novembre, nelle case palermitane vi è il cosiddetto “cannistro”, ovvero un cesto colmo di frutta Martorana, frutta secca, dolci tipici per l’occasione e regali per i bambini.
La tradizione vuole che nella notte siano i defunti a portare il cannistro ed i regali ai loro cari dall’aldilà.
Per chi non sapesse cosa sia la frutta Martorana ricordo che questa prende il suo nome dalla nota chiesa situata nel centro storico di Palermo e dal vicino monastero, alle spalle di Piazza Pretoria, creato per volere della nobildonna Eloisa Martorana nel 1194.
La frutta Martorana venne “inventata” dalle suore di quel monastero e si tratta di dolci in pasta di mandorla che prendono la forma di frutti.
Tra le tradizioni culinarie siciliane della festa dei morti, non possiamo non menzionare le ossa di morto.
La forma di questi biscotti ricorda quella delle ossa, la consistenza è molto particolare e il sapore, naturalmente, dolcissimo. Tali biscotti, come suggerisce il nome, simboleggiano le ossa dei defunti.
Altro pezzo che riempie le tavole palermitane, sono i Pupi di zucchero. Si tratta di “bambole” fatte di zucchero che anticamente, si usava raffigurare con paladini o figure femminili.
Pezzo salato fondamentale, è la cosiddetta “muffuletta”: un panino rotondo di origine antichissime diventato il simbolo dei cibi da strada palermitano, utilizzato sia per il panino con la milza che con le panelle.
E’ chiamato anche muffulietta o moffotella a secondo del luogo della Sicilia in cui viene preparato. Ma “cunzato” cioè condito in questo determinato modo è tradizione prepararlo per la colazione della “Festa dei Morti” il 2 novembre giorno della commemorazione dei defunti.
Il modo di condire il panino varia a seconda dell’ubicazione geografica dell’isola, ma può variare anche da famiglia a famiglia, anche se a Palermo solitamente la si condisce con del sugo pelato, cipolla, aglio ed acciughe, simboleggiando così il corpo ed il sangue dei defunti.
Prima dello stop dovuto dal Coronavirus resistevano in tutta la città, le “fiere dei morti” con bancarelle, cibo da strada e quant’altro per circa un mese.
di Vittorio Emanuele Miranda – EmmeReports
(foto Antonio Melita)