Palermo vanta una particolare figura professionale, unica al mondo “u stigghiularu”.
Prima di descrivere il lavoro che svolge, occorre specificare il luogo in cui lo esercita, una sorta di piccola baracca, solitamente in legno, chiusa da tre lati e con pensilina sula parte frontale, in palermitano conosciuta come pensillina o pinsellina. È una copertura indispensabile per riparare dalla pioggia sia gli avventori che la griglia di cottura, rigorosamente in ghisa, su cui viene cotta la gustosissima ma poco fine (per alcuni) stigghiola, una delle tante eccellenze del nostro street food.
Questi “esclusivi” esercizi commerciali sono ubicati, solitamente, nelle zone più popolari e per quanto riguarda i nomi degli “stigghiulari” non vi sono grandi alternative. Non troveremo mai, infatti, Ruggero, Corrado o Federico, ma Nino o Totò e dal momento che siamo proverbialmente calorosi e con un alto senso della famiglia, gli stigghiulari si autoproclamano zii di tutti e quindi sulle insegne, fatte a mano con cartone e scritte grossolane, leggeremo: “Nnu zu’ Nino” (dallo zio Nino) o “Nnu zu’ Totò (dallo zio Ttotò), perché anche quando siamo fuori amiamo sentirci in famiglia.
La nostra originalità è nel DNA di questa terra povera, dove i corsi d’acqua prosciugati originano distese brulle e sterili, cui si contrappongono il verde argenteo degli ulivi e i vitigni a perdita d’occhio. Nasce da questa isola un popolo che ha sempre tratto da ogni cosa l’essenziale per sopravvivere, affinando sempre più “l’arte di arrangiarsi”, altrimenti detta inventiva.
Si tratta di un aspetto che ritroviamo in tanti nostri piatti tipici, semplici ma gustosissimi, come la stigghiola, preparata con budella di agnello o capretto avvolta attorno allo scalogno. Il nome deriva dal termine “Extiliola”, diminuitivo di“Extilia” (budella, intestino), ma le sue origini sono ancora più antiche. L’antenato di questa pietanza dal gusto forte e deciso era infatti il Kokoretsi, un piatto che veniva cucinato nelle città greche dell’isola.
Il segreto di un’ottima stigghiola risiede anche nella cottura che dev’essere lenta, omogenea e rigorosamente alla brace. Viene infine tagliata a pezzetti e dopo una spruzzata di limone, gustata calda e croccante, callosa e burrosa al tempo stesso dal sapore unico e impareggiabile. La notevole quantità di grasso che brucia, cadendo sul carbone incandescente, produce una colonna di fumo denso dal profumo irresistibile che si spande e ha sempre dato luogo ad assembramenti, oggi da evitare anche se la voglia di stigghiola diventa incontenibile.
La ressa da stigghiola supera da sempre quella da “chi cci fú” (cosa è successo), il che è quanto dire data la nostra curiosità congenita.
Il palermitano “fine”, pur bramando la stigghiola, di solito non ha il coraggio di acquistarla e soprattutto consumarla direttamente nei punti vendita “autorizzati”, poiché sarebbe la fine della sua vita mondana e di gran classe, fra circoli e locali esclusivi della città. Guai se qualcuno lo vedesse insieme al popolo della stigghiola, magari mentre sta accettando un’offerta che non può rifiutare, ovvero una seconda stecca di stigghiole sfrigolanti che gli fa sopportare anche l’immancabile sottofondo di musica partenopea.
Sapeste quante amicizie altolocate, distrutte e gettate al vento per una stigghiola, ma “chi perde un amico trova una stigghiola” e “Mors tua (dell’amicizia) stigghiola mea”, finisce sempre che “chi di stigghiola ferisce, prima o poi stigghiola arrostisce”.
Disintossicarsi dalla dipendenza causata dal fumo della stigghiola non è affatto facile e persino chi si definisce attivista del movimento “stigghiola? No grazie”, ufficialmente delatore, ufficiosamente consumatore, quando la voglia di stigghiola si fa sentire, inizia ad arrovellarsi il cervello per trovare il modo di potere uscire dalla lussuosa villa con tre piscine, campi da golf a perdita d’occhio, un autodromo, un eliporto, porto e porta chi vuoi tanto lo spazio c’è.
Il fuorilegge, sempre più disperato, aguzza finalmente l’ingegno e dietro corresponsione di lauto compenso, chiede in prestito al giardiniere un mezzo insospettabile, la famosa “lapa a tre ruote”, sicuramente consono all’ambiente dove si accinge a recarsi. Si avventura in preda a crisi d’astinenza nelle “borgate” alla disperata ricerca di uno stigghiularo operativo, nella speranza che anche soltanto inalando i “fumi” si plachi l’impellente necessità. Purtroppo, però, il vano tentativo acuisce ancor più il desiderio peccaminoso e cede al richiamo dello stigghiularo “vinissi, manciassi. Cavuri, cavuri sunnu” (venga e mangi, sono caldissime) e…Finalmente l’estasi.
Totalmente appagato e convinto che nessuno si sia accorto della sua assenza, restituita la lapa, entra dalla porta d’ingresso con la maestria di Lupin, sale i gradini che portano su al primo piano e arriva davanti la porta della suite coniugale.
Apre, vede la moglie e sorride amorevolmente guardandola beatamente addormentata, saluta cordialmente l’uomo disteso accanto a lei, richiude la porta e scende le scale non rendendosi conto di ciò che realmente ha visto. In un barlume di semi-lucidità, molto perplesso, si domanda quando i suoi capelli biondi siano improvvisamente diventati neri e, completamente “fatto” di fumo… Di stigghiola, non si riprenderà prima di due o tre ore. Forse trascorso tale tempo, la consorte dovrebbe iniziare a darsela a gambe o chiedere perdono con una bella stecca di stigghiole.
INGREDIENTI
Budella di capretto, agnello
Scalogno
Sale
Limone
PREPARAZIONE
Pulire accuratamente le budella con acqua e sale, arrrotolarle attorno lo scalogno, salare e arrostire lentamente sulla brace. A fine cottura, tagliare a pezzetti, irrorare con succo di limone e… Deliziatevi!
di Monica Militello Mirto – EmmeReports