One Voice a Palermo ci regala l’occasione rara di vivere due universi culturali contrapposti, grazie alla scultura del professor Giacomo Rizzo e all’ambiente che l’accoglie, la Cavallerizza del Palazzo dei Principi di Sant’Elia. L’opera sembra galleggiare nell’aria, quasi fosse spinta verso l’alto da esili supporti e si trova al centro di uno spazio ritmato da colonne e archi, campate e crociere.
Il reticolo creato dagli schemi architettonici è la forma fisica di un mondo culturale che dalla classicità arriva al Settecento, con la certezza di essere il riflesso di un ordine superiore: l’arte cercava solo il modo di renderne concreta la bellezza. Di contro la scultura riflette principi completamente diversi: l’uomo e la sua percezione sono il nuovo centro; l’opera sovverte la logica della gravità, evoca tracce e indica percorsi, sembra fluttuare e pulsare con una propria identità. È una presenza e lo spazio attorno le appartiene.
Parliamone ora con l’artista che è professore di Scultura e Tecniche di fonderia all’Accademia di Belle Arti di Palermo. Professor Rizzo, lei ha vissuto come residenza d’artista al Mana Contemporary in New Jersey.
Quale messaggio ha raccolto?
La mia recente residenza presso il Mana Contemporary di New Jersey, per me è stata un’esperienza unica. L’impatto con gli Stati Uniti e soprattutto con New York mi ha permesso il confronto con una realtà gigantesca, con una grande fucina di talenti e una miriade di espressioni. Questi linguaggi esteticamente corrono su binari differenti, ma mirano a contemplare un unico concetto: tramite l’arte si può curare l’anima.
Come spiegherebbe in parole semplici la sua opera esposta a Palazzo Sant’Elia?
Provare a spiegare un’opera è sempre qualcosa di particolare. Molto spesso capita che l’idea originaria dell’artista si tramuti in altri feedback. Quest’opera intitolata ‘Forma interiore’ parte da un bisogno introverso dell’essere umano, che cerca di relazionarsi col mondo intero. Da qui nasce il fiume di cavi che si diramano come tentacoli in tutto l’ambiente della Cavallerizza del Palazzo. I cavi rappresentano delle connessioni neuronali protese verso il mondo, nel pieno spirito di One Voice.
L’epicentro della connessione si concreta nella massa dell’opera, come fulcro della raccolta di tutti i pensieri, uniti in un’unica forma”. Lei scolpisce e modella per rappresentare? “No, la mia scultura, che è fatta di materia, non vuole simulare o essere la rappresentazione di una realtà, tutt’altro. Parte dalla realtà per creare un mondo onirico e fantastico, dove sia la natura che il fare umano si mescolano assieme, per creare l’idea di un mondo nuovo.
Cosa resta di naturale in quello che crea?
Della natura c’è solo l’essenza che diventa il pretesto per iniziare un percorso dove resta la traccia della presenza dell’uomo, con la sua storia, le narrazioni e le sue leggende. Mi interessa parlare dell’umanità attraverso la sintesi concettuale dell’arte contemporanea, partendo però da radici arcaiche che ritrovo nella terra. La mia ricerca mira a trasmettere un’idea di natura e non alla rappresentazione di mimesi. È un’astrazione che libera il concetto di peso specifico e di volumetria della materia stessa, realizzo quindi una percezione ribaltata.
Ritiene che la scultura sia più da toccare o da vedere?
La scultura è sicuramente tatto prima che vista: è una sensazione di superfici sia interne che esterne. Sono forme che si contrappongono con forza e con energia, solo la percezione visiva non basta a coglierle, tutta la scultura andrebbe toccata.
L’aria è corpo, fra l’opera e l’osservatore, fra l’opera e lo spazio architettonico. Mi spiega l’importanza di questo elemento, lo spazio, apparentemente neutro?
Nelle mie sculture la presenza dell’invisibile diventa fondamentale, è quasi più importante della materia stessa. Per questo prediligo sempre più le opere ambientali, che si relazionano con spazi naturali e architettonici. Quando creo cerco di pormi con rispetto e attenzione verso il luogo per cui l’opera è destinata. Mutando il rapporto con spazio l’opera non rimane sempre la stessa ma varia e si tramuta in una metamorfosi continua.
‘Forma interiore’ è una scultura policroma. Che significato hanno i colori?
Amo definire queste linee di colore come binari che segnano un percorso, come una sorta di incisione di un vecchio 33 giri, dove ogni solco è un tracciato che parla all’altro, all’ascoltatore. La sensazione che provo seguendo questi cavi colorati è che siano tracce di vita, il segno del cammino che appartiene ad ognuno di noi.
Come è nata, concretamente, questa scultura?
La tecnica è stata lunga e complessa, lavorando l’opera prima in argilla per poi realizzarla in resina.
Ha alcuni materiali preferiti nella sua ricerca artistica?
Ho sempre guardato oltre la tradizione, utilizzando gran parte dei materiali sperimentali perché mi affascina lavorare con elementi mai utilizzati prima. Cerco di adattarli alle mie esigenze per creare nuove evocazioni. Mi emoziona e mi rende esuberante il non sapere dove questi materiali mi porteranno, quali risultati saprò ottenere.
L’arte è un continuo ricercare.
One Voice Palermo, Palazzo Sant’Elia, Via Maqueda 81
Sabato 19 settembre e 20 settembre, Sabato 26 settembre e domenica 27 settembre
dalle ore 10 alle 19.00 – ingresso libero.
di Massimiliano Reggiani – EmmeReports