12 maggio 1985, Stadio della Favorita, derby-promozione Palermo–Messina: un ricordo dolce e struggente, insieme, di un tempo e di un calcio che mai più torneranno.
Io ero un giovanotto di 44 anni e sembravo aver l’argento vivo addosso. Non mi stancavo mai di inseguire i miei sogni e, anche se brillavano e subito dopo sparivano, come le lucciole la notte, io sapevo sempre dove scovarli: allo Stadio, dove da sempre per me, tutto perfino il peso della vita, diventa lieve come una piuma.
Quel pomeriggio del 12 maggio del 1985 il Palermo, appena retrocesso in C per la prima volta nella sua storia, si giocava l’ultima (o quasi) chance per tornare in serie B.
E se la giocava in un derby di fuoco quant’altro mai perché l’avversario, il Messina di mister Scoglio, era tosto e pugnace e ci tallonava in classifica ad un solo punto di distacco.
Quel pomeriggio di sole rovente, sugli spalti, quelli di prima di Italia ’90, senza sediolini e con un solo anello, in quarantamila si stava tutti ammassati, ciascuno di noi sentiva il respiro del vicino, le cui lacrime, di gioia o di sgomento, erano anche le mie.
Era un Palermo forte e volitivo, aveva la tempra del suo allenatore, l’indomito e indomabile Tom Rosati, uno che se un suo giocatore non rispettava le consegne, entrava in campo e lo prendeva a ceffoni.
Uno che, pur minato da un male incurabile, che lo costringeva a frequenti voli Palermo-Barcellona per le cure del caso, guidava la truppa rosanero con il vigore e la veemenza degli allenatori di una volta: pensate per un po’ al mitico Nereo Rocco e, perché no, ad Helenio Herrera.
Appena insediatosi sulla panchina del Palermo Rosati pretese di sostituire il libero Picano, palermitano purosangue, con Ranieri, romano de Roma, sollevando un vespaio di polemiche, che lui spense sul nascere proclamando in conferenza stampa: “L’allenatore sono io e so quel che faccio… Naturalmente, me ne assumo tutta la responsabilità!”.
Lui era fatto così, prenderlo o lasciarlo, non c’erano vie di mezzo. E l’allora fresco presidente Roberto Parisi non solo lo prese ma gli diede carta bianca: “Purché lei ci riporti subito in serie B!… Non ho preso il Palermo per marcire in serie C!”.
Sembrava quasi una minaccia ma lui, imprenditore di successo, era un asso a scegliere l’uomo giusto al posto giusto.
Sento vivissima, come succede nella memoria del cuore, l’atmosfera di quel pomeriggio e mi vengono ancora i brividi: poche altre volte ho visto lo Stadio così ruggente, una bolgia infernale per gli avversari, una spinta irresistibile per i nostri giocatori.
Vincemmo quel derby a dieci minuti dalla fine, dopo attacchi e contrattacchi che ci tennero col fiato sospeso perché, in qualsiasi istante, si poteva conquistare la vittoria o subire la sconfitta.
Vincemmo quel derby perché in attacco avevamo un “genio” dell’inventiva e della fantasia come Pietro Maiellaro che, quand’era in giornata diventava immarcabile per qualsiasi avversario.
Vincemmo quel derby perché lì davanti avevamo due attaccanti, diversi tra loro e complementari che, insieme, diventavano incontenibili: uno era Gabriele Messina, vecchia volpe d’area di rigore e l’altro il ventunenne Antonio De Vitis, agile e scattante che “sentiva” la porta, la vedeva perfino col “terzo occhio”, quello invisibile al suo marcatore.
E fu, infatti, su un lancio verticale di Mario Piga, diretto al centro dell’area che lui mettesse il suo piedino per fargli cambiare traiettoria e spedire la palla alle spalle del portiere ospite.
Quel Palermo mi ricorda questo che sta nascendo tra i boschi di Petralia Sottana, sotto gli occhi e la regia di mister Boscaglia.
Non sono avvezzo a dar consigli per gli acquisti perché ognuno deve fare il suo: il cronista raccontare i fatti, l’allenatore plasmare al meglio i giocatori a disposizione così da farne una squadra coesa, la società assecondarne al meglio le direttive tecno-tattiche.
Posso solo sognare come faccio ormai da settant’ani circa: sognare che il Palermo riesca anche stavolta, come quello di Parisi e Rosati, a ritrovare la serie B magari “pescando” i due attaccanti giusti per la promozione. Due tipi come Maiellaro e De Vitis, che fanno insieme il lavoro necessario per sorprendere e battere le difese avversarie: l’uno che ispira e l’altro che finalizza.
Due tipi così, non basta solo cercarli con gli strumenti normali perché ci vogliono quelli speciali: fiuto da segugio e perseveranza, qualità di cui ben dispongono sia Castagnini che Sagramola, nei confronti dei quali nutro la massima fiducia.
Ieri, il Palermo di Rosati, oggi quello di Boscaglia… E domani comunque e sempre quello di Mirri, Sagramola e Castagnini: siamo appena agli inizi di una scalata, che si profila dura e impervia e chissà quanto tempo ci vorrà per arrivare alla vetta. Ma le premesse sono più che confortanti, quindi la fiducia è d’obbligo… E anche la pazienza di aspettare e vedere che Palermo scenderà in campo il 27 settembre, alla prima di campionato.
di Benvenuto Caminiti – EmmeReports
P.S. Nella foto il Palermo di De Vitis e Maiellaro, stagione 1984/1985.