In questi giorni convulsi, di grande caos e propagande roboanti, sarebbe bene fermarsi un attimo.
Fare il punto della situazione, tentare di leggere gli eventi in modo critico, senza millantare di possedere competenze specifiche in ambito medico o scientifico, senza negazionismi né catastrofismi, senza alcuna pretesa se non quella di sciogliere un po’ la matassa di informazioni che sembra ingarbugliarsi ogni giorno di più, può essere di grande aiuto per disinnescare le trappole politiche e mediatiche che ci minacciano.
Cerchiamo di analizzare il modo in cui la grande classe delle sfruttate e degli sfruttati ha vissuto questi mesi. Tanto per cominciare, a noi lavoratrici e lavoratori dei call center e delle fabbriche, a noi insegnanti, a noi precari e precarie, ci è piovuta addosso una valanga di pareri fuorvianti: dalla sottovalutazione incosciente e colpevole del problema (mentre colleghe e colleghi venivano portati in terapia intensiva) al “chiudiamo tutto”, “io resto a casa” (con conseguente criminalizzazione dei comportamenti individuali).
Nel frattempo, mentre si alzava di giorno in giorno la posta in gioco della gara a chi la spara più grossa, accadevano due cose: da un lato i pazienti (spesso, ahinoi, colleghe e colleghi di sfruttamento) continuavano ad affollare le terapie intensive; dall’altro, la Regione Siciliana continuava a non emanare alcuna ordinanza che prevedesse tamponi a tappeto nei luoghi di lavoro in cui i contagi si erano verificati.
Tra i nostri compagni e le nostre compagne c’è chi ha continuato a lavorare in luoghi già interessati dal contagio, ma neppure questo è bastato all’ASP per predisporre con urgenza il tampone per le lavoratrici e i lavoratori che chiamavano i numeri verdi regionali dichiarando di avere dei sintomi.
Le RSA, le fabbriche, i call center, si trasformavano pian piano in dei lazzaretti. E la classe politica? Del tutto assente e incapace di elaborare risposte, se non quella di aizzare le masse contro presunti untori (chi era colpevole di fare una corsetta in solitaria o chi per necessità cercava di fare respirare un po’ di ossigeno ai propri figli chiusi per mesi in appartamenti da 60mq).
E poi cos’è successo? Poi ci hanno detto che l’emergenza era passata, che il virus aveva perso la propria carica, ma soprattutto che l’economia doveva ripartire. E riapertura fu. Oggi i turisti girano per le città senza limiti e confini, senza alcun controllo alle stazioni ferroviarie, nei porti, agli aeroporti.
Gli “assembramenti” (un affastellarsi incontrollato di corpi da ogni parte d’Italia e del mondo, per chi non può concedersi il lusso di comprarsi un po’ di privacy in un circolo o in un’area attrezzata) spopolano in tutte le spiagge siciliane, e tutto va bene, tutto tace.
Le aziende sacrificano la salute e la vita di chi lavora, delle loro famiglie e della comunità tutta sull’altare del loro profitto, ma il governo regionale continua a tacere.
A un certo punto, però, l’inevitabile fa capolino: la curva di contagio sta risalendo, e la classe politica non perde occasione per speculare sulla vita di chi da sempre subisce lo sfruttamento, di chi paga tutte le crisi. La stessa classe politica, a corto di argomenti, completa il quadro riesumando il buon vecchio capro espiatorio: il migrante.
Al grido di “chiudiamo i porti” il nostro presidente della regione si affanna per strappare un applauso facile alle greggi stordite, una mossa in extremis per mascherare goffamente la propria incapacità politica, specchio di un’insondabile inconsistenza umana.
Eppure, caro Musumeci, non la dai a bere a tutti. Non la dai a bere a noi. Noi, che imbastiamo una lotta quotidiana per emanciparci da quel gregge maledetto, manipolato, sfruttato, noi che ogni giorno uniamo tutte le nostre forze, le forze delle ultime e degli ultimi, per smascherare il sortilegio di questo sistema criminale, sappiamo bene che il virus ai fratelli africani lo hanno portato le politiche scellerate di stampo leghista, le stesse che hanno causato il diffondersi del contagio nelle strutture ospitanti in questo paese.
Oggi l’untore, domani il migrante. Qualunque sia il ritornello, dietro tutte le possibili distorsioni della realtà amplificate e diffuse a ritmo serratissimo dall’instancabile cassa di risonanza dei mezzi d’informazione, c’è sempre il tentativo di nascondere le spinte più antipopolari del potere, a cominciare dall’asservimento della classe politica all’interesse dei padroni.
Nessun incantesimo farà sì che “andrà tutto bene”, ma in compenso una specie di maledizione continua a impedire di percepire le contraddizioni, e un bombardamento di bugie reiterate dà quasi l’illusione di trasformarsi in verità.
Il primo passo è tutto lì: distinguere gli attori del dramma.
Da un lato ci sono i padroni e le loro marionette di vari colori politici, dall’altra sfruttate e sfruttati, lavoratrici e lavoratori, disoccupate e disoccupati, piccole partite Iva, fiumi di persone senza casa e senza diritti, con la pelle di tutti i colori e i passaporti di tutti i paesi.
Prima occorre avere ben chiara questa distinzione, poi segue il secondo passo: scegliere da che parte stare, e comportarsi di conseguenza.
A voi combriccole di padroni e politici, a voi che alimentate l’incoscienza remando costantemente contro l’interesse collettivo, a voi nemici del popolo vorremmo solo ricordare che i maledetti siete voi, voi che costruite i vostri privilegi sulle spalle delle lavoratrici e dei lavoratori, ma non vi illudete: verrà il giorno in cui ci scrolleremo di dosso il vostro giogo, e un rinnovato vento di giustizia spazzerà via le vostre bugie.
di Gruppo Lavoro Potere al Popolo – EmmeReports