Di domenica proprio come ventotto anni fa quando persero la vita il magistrato Paolo Borsellino e gli agenti di scorta Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, Claudio Traina ed Eddy Walter Cosina.
Alle 16,58, momento esatto della strage, via D’Amelio si stringe, in un minuto di silenzio, a voler ancora ricordare, per non dimenticare.
Presenti davanti all’Albero della Pace il presidente della Commissione antimafia Nicola Morra, il vicecapo del Dap Roberto Tartaglia, l’ex Presidente del Senato Pietro Grasso, il sindaco di Palermo Leoluca Orlando e tanti cittadini.
Sul palco Salvatore Borsellino legge con commozione e rabbia una poesia dedicata al fratello Paolo, l’agente sopravvissuto alla strage Antonio Vullo ricorda che il giudice Borsellino venne lasciato solo e spera che lo stesso non succeda con i tanti magistrati che stanno cercando la verità.
Presente anche Luana Ilardo, figlia del collaboratore di giustizia che da “infiltrato” fece consegnare boss di primissimo piano appartenenti alle famiglie delle province di Messina, Catania e Caltanissetta.
Oltre alle tantissimi Agende Rosse anche il sindacato di Polizia SIAP.
“La richiesta della verità è ciò che ci ha portato sempre in piazza. Semplificare le stragi dicendo che da una parte c’erano gli uomini dello Stato e dall’altra c’era la Mafia che li ha uccisi, purtroppo negli anni è servito solo a depistare e a tenerci lontani dalla verità” a dirlo è il segretario provinciale del SIAP, Luigi Lombardo.
“Dopo 28 anni la verità non si è ancora palesata in tutta la sua forza e il suo orrore, infatti alcune sentenze iniziano, da alcuni anni, a parlare di depistaggi messi in atto proprio da uomini dello Stato. Noi pretendiamo la verità e la giustizia anche e soprattutto quando ad essere coinvolti sono uomini dello Stato” continua Lombardo.
“Chiediamo giustizia per i ragazzi della scorta; il dazio di sangue pagato dal reparto scorte di Palermo credo che sia uno dei più alti pagati nella storia della Polizia di Stato. Basta entrare all’interno del Reparto scorte di Palermo per rendersi conto del bollettino di guerra che si evince da tutti i nomi elencati in quelle lapidi, in particolare modo concentrate nelle date del 23 maggio e del 19 luglio 1992“.
“I colleghi delle scorte di oggi non possono fisicamente prendere servizio se non passando sotto quelle lapidi; ogni volta che si chiede verità lo si fa per restituire la memoria alla sua legittima appartenenza, rendendo anche giustizia a chi quel lavoro sta continuando a farlo” conclude il sindacalista del SIAP.
Presente in via D’Amelio anche Giuseppe Sammarco, capo scorta del magistrato Giovanni Falcone, conosciuto come “Indio”.
“Ho seguito per dieci anni il magistrato Giovanni Falcone, che insieme a Paolo Borsellino, era l’unico che ha dato tutto per cercare di contrastare la mafia dandoci la libertà” afferma Indio.
“Posso dire che per me è stata una bellissima esperienza, in quei giorni crescevo professionalmente sempre di più sapendo, anche solo con uno scambio di sguardi, cosa occorreva fare. Se dovessi rinascere rifarei tutto quanto” continua il capo scorta in vita di Giovanni Falcone.
“La mafia non è invincibile e rispetto a prima adesso se ne può parlare liberamente a scuola, nelle famiglie. Adesso ti puoi permettere di portare studenti dei quartieri a rischio nei luoghi della memoria e farlo con un pullman della Polizia di Stato”.
“Attraverso il percorso della legalità nelle scuole è possibile far conoscere e amare la Polizia, e di conseguenza anche le istituzioni, a ragazzini con contesti familiari complicati” continua Indio “Ricordo un bambino, con il padre arrestato al 416 Bis, che appena sceso dal pullman, abbracciando la madre, disse: gli sbirri su i megghiu i’ tutti“.
“Quella è stata per me una grande vittoria anche se so benissimo che una volta rientrato in quel contesto familiare magari ti accorgi che non è cambiato nulla. Bisognerebbe cambiare il contesto familiare, aiutando economicamente le persone per evitare che il mafioso di turno possa avvicinarsi facendo leva sullo stato di bisogno” conclude Giuseppe Sammarco, detto “Indio”.
di Antonio Melita e Francesco Militello Mirto – EmmeReports