Secondo una delle tante antiche leggende, che fanno parte della nostra sicilianità, la nostra isola nacque per opera di tre Ninfe che, avendo raccolto terra, fiori e frutti dai luoghi più fertili del mondo, un giorno si fermarono dove trovarono il mare più bello che avessero mai visto, e un cielo azzurrissimo. Posizionandosi in tre punti diversi lasciarono cadere ciò che avevano nelle tasche delle loro vesti e dal mare spumeggiante emerse una terra con una forma particolare: era la Sicilia, quella che un tempo si chiamava Trinacria, ovvero terra dalle tre punte denominate Capo Peloro (Messina), Capo Passero (Siracusa) e Capo Lilibeo (Palermo).
Il simbolo che la rappresentava era la greca Triskele con la testa di Gorgone, circondata da tre gambe e coperta da serpenti, sostituiti in epoca romana da spighe di grano che attribuirono all’isola il ruolo di granaio dell’Impero. Quella testa di donna su sfondo giallo e rosso, ricordo delle città di Palermo e Corleone che per prime insorsero contro gli angioini, è ancora oggi il simbolo della nostra sicilianità, ovvero quel senso di appartenenza che sentiamo in ogni fibra del nostro essere, croce e delizia di chi è nato in questa terra ammaliatrice.
Vittima di un sortilegio il natìo si lascia avvinghiare dalle spire delle meraviglie che essa offre agli occhi e all’olfatto. Dimenticare le essenze che questa terra dalle tre punte emana, è pressoché impossibile, per questo chi è stato o è costretto lasciarla, inevitabilmente tende a portare con sé piccoli frammenti per tenerla sempre viva. Fra effetti personali e tutto ciò che comportava il trasferimento, uno spazio era destinato agli odori e sapori prettamente siculi, origano, menta, basilico, aglio rosso di Nubia, limoni, qualche barattolo di acciughe e l’immancabile “astrattu” (o lu strattu), ovvero il concentrato di pomodoro rigorosamente e artigianalmente prodotto in Sicilia.
Molteplice il suo utilizzo, ma di basilare importanza per la “pasta c’anciova” (acciuga), così come lo è quello dell’acciuga sotto sale. Anche questo è, come la maggior parte dei piatti regionali, un piatto povero probabilmente nato in sostituzione della pasta con le sarde, preparata con pesce fresco economico, ma non sempre alla portata di tutti e soprattutto altamente deperibile.
Quindi chi si trasferiva al Nord, una volta chiamato anche continente, doveva accontentarsi di “esportare” quelle materie prime che gli avrebbero consentito di preparare un piatto tipico della terra natìa. Dal momento che il Nord un tempo veniva identificato da molti con la regione lombarda, “la pasta c’anciova” termine che probabilmente deriva dal catalano “anxova”, venne ribattezzata “a milanisa”.
Le case odoravano sì di Sicilia, ma solo tornando per le vacanze i siciliani avrebbero ritrovato quell’odore inconfondibile che si diffonde dalla cottura del pomodoro, acre e dolce al tempo stesso, per la successiva preparazione dell’estratto, rito irrinunciabile oggi non più così tanto diffuso. Anni fa, invece, era consuetudine trovare nei paesi poco distanti dalla città, sul mare e nell’entroterra, donne anziane impegnate nella preparazione di questa “marmellata di pomodoro”, come una volta la definì una bambina vedendo la salsa esposta al sole. Tre gli ingredienti: pomodoro sale e sole.
Il primo, dopo una lenta cottura, veniva passato nel passapomodoro e la salsa ottenuta versata su appositi vassoi dal bordo rialzato, chiamati “maidde”. Nella calura estiva, davanti l’ingresso delle loro case, solitamente con persiane verdi, marrone o azzurre che spiccavano sull’intonaco bianco, le signore di tanto in tanto “arriminavano” (mescolavano) la salsa, per consentire un’essiccazione omogenea. La sera le maidde venivano rientrate per evitare che l’umidità della notte vanificasse l’opera diurna del sole. Sono immagini ormai rare ma che restano nel cuore. Poteva un siciliano privarsi degli odori e dei sapori che lasciava? Certamente no, e così li ricreava altrove. Nella “pasta c’anciova”, sia che venga preparata in loco o meno, non deve mancare a preparazione ultimata, anche una manciata di mollica “atturrata” (tostata). Il piatto finito ha tutto il gusto della sicilianità, quello che ci accompagna anche nel luogo più remoto della terra.
Ingredienti:
360 g pasta preferibilmente tipo Margherita
200 g concentrato di pomodoro
8 acciughe salate
mezza cipolla
uno spicchio d’aglio
100 g pangrattato
passolina e pinoli q.b.
olio EVO q.b.
sale e pepe q.b.
Preparazione:
Soffriggere la cipolla con un filo di olio, non appena sarà dorata, unire l’aglio leggermente schiacciato e i filetti di acciuga, continuando la cottura a fiamma bassa per scioglierla. Unire il concentrato di pomodoro, precedentemente sciolto in acqua calda e mescolare. Aggiungere la passolina, (già fatta ammorbidire in acqua) e i pinoli. Correggere con sale e pepe e cuocere fino a fare addensare il sugo. Nel frattempo tostare il pangrattato finchè non risulti dorato. Cuocere intanto la pasta in abbondante acqua salata, condirla con il sugo e infine cospargerla nei singoli piatti con la mollica.
Buon appetito.
Di Monica Militello Mirto – EmmeReports