Dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, dove persero la vita i giudici Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e i loro uomini di scorta, la risposta dello Stato non si fece attendere, cercando di impedire che i cosiddetti “uomini d’onore” potessero ricreare nel carcere la loro subdola gerarchia che consentiva di affermare la loro supremazia criminale nel luogo di detenzione, consentendo di continuare ad impartire ordini ai sodali dell’organizzazione mafiosa che capeggiavano, mediante l’esercizio artificioso dei diritti che gli erano riconosciuti dall’Ordinamento Penitenziario.
Il Direttore Generale dell’Amministrazione Penitenziaria, emanò un ordine di servizio con cui istituiva un’apposita sezione all’interno della Segreteria Generale, deputata al coordinamento delle attività operative di Polizia Penitenziaria, denominata “Servizio Coordinamento Operativo Polizia Penitenziaria (SCOPP).
A seguito dell’uccisione dell’Agente Scelto Montalto, in servizio presso l’Istituto di Palermo Ucciardone, vennero ordinate dall’amministrazione Centrale una serie di verifiche che evidenziarono una situazione preoccupante.
In una di queste relazioni, un Dirigente del DAP espresse chiaramente quali erano le gravi lacune del sistema detentivo, individuando alcune iniziative da assumere per ripristinare l’ordine e la legalità, soprattutto per impedire che i capi mafiosi potessero continuare a perseguire i loro intenti criminali.
La prima iniziativa intrapresa fu quella di demandare l’intero servizio ad un contingente di personale appositamente individuato e non del luogo. Successivamente tale personale doveva essere periodicamente avvicendato, per evitare di fornire ai reclusi la possibilità di avere riferimenti sul personale.
Fu così che, il 27 maggio 1997, il Direttore Generale dell’Amministrazione Penitenziaria istituì il Gruppo Operativo Mobile (G.O.M. ), ponendolo alle sue dirette dipendenze funzionali. Questa struttura operativa assorbì totalmente il personale, i mezzi e le attrezzature tecnico-logistiche del Servizio Coordinamento Operativo Polizia Penitenziaria assumendo competenze e funzioni che le consentivano di assolvere agli obblighi scaturenti dalle nuove disposizioni di legge.
Il GOM oggi
Il 19 febbraio 1999 venne assegnata una nuova veste istituzionale al Gruppo Operativo Mobile attribuendogli il compito di curare, su richiesta del Direttore dell’Ufficio Centrale Detenuti, le traduzioni e i piantonamenti dei detenuti ed internati ad altissimo indice di pericolosità e con particolare posizione processuale, da effettuare, per motivi di sicurezza e riservatezza.
Oltre a ciò, fu demandato al GOM di provvedere o partecipare, secondo le specifiche disposizioni impartite dal Direttore Generale, al servizio di custodia dei detenuti sottoposti al regime del 41 bis, laddove esistesse l’opportunità di ulteriori misure di sicurezza, nonché dei detenuti “collaboratori di giustizia” ritenuti dall’Ufficio di maggiore esposizione a rischio.
Il Direttore del GOM
Il suo Direttore, da allora, viene nominato dal Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria tra gli ufficiali Generali del Ruolo ad esaurimento del disciolto Corpo degli Agenti di Custodia fino alla disponibilità di qualifiche dirigenziali nei ranghi della Polizia Penitenziaria.
Attualmente il GOM è costituito da una sede logistica, dislocata presso la Scuola di Formazione Giovanni Falcone, in Roma, dove ha sede l’ufficio del Direttore, dove è custodita la Bandiera di Istituto concessa al Gruppo Operativo Mobile della Polizia Penitenziaria.
Dal Direttore del Gruppo Operativo Mobile sono contabilmente amministrati e gerarchicamente posti alle sue dipendenze 12 reparti periferici, 11 dislocati negli istituti penitenziari del centro nord ed uno presso la Casa Circondariale di Sassari, un centro servizi, situato presso il polo di Rebibbia Roma, un’aliquota di personale presso la Casa Circondariale di Reggio Calabria per la gestione dei maxi-processi e un’autorimessa, così denominata dall‘Amministrazione Centrale, dove vengono accentrati tutti gli automezzi acquistati dal DAP per essere successivamente assegnati alle varie sedi.
EmmeReports ha intervistato Vincenzo Santoriello, comandante del GOM dal 1993 al 2000.
Lei è stato Comandante del GOM. Quali erano i suoi compiti?
I miei compiti erano quelli istituzionali oltre ad avere rapporto con le varie AA.GG. informando l’ufficio centrale a Roma presso il DAP in tempo reale.
Quale era la situazione delle carceri italiane quando Lei era al comando?
La situazione delle carceri in quel periodo erano in una situazione e approssimazione molto delicata, ove si può dire con estrema franchezza ,che si viveva alla giornata a secondo degli eventi interni ed eventi esterni che caratterizzavano anche la vita del Paese.
Qual è oggi la situazione carceraria?
La situazione attuale è sotto gli occhi di tutti, potrebbe sembrare organizzata ed efficiente ,ai non addetti ai lavori, ma chi vive all’interno di questo grosso contenitore umano, sa che è solo ipocrisia da parte di chi vuole apparire ma non risolvere il problema.
La gestione degli Istituti Penitenziari è in mano a chi non conosce le vere esigenze di vita, sia dei detenuti che della polizia penitenziaria. Il carcere per capirlo, non basta ascoltare e scrivere, ma si deve vivere. Ricordiamoci che le mafie sono come il coronavirus che uccidono in modo silente ma il carcere non è solo Mafia, Camorra, Ndrangheta.
Esiste ancora il 41 Bis e lo possiamo ancora considerare carcere duro?
Il regime detentivo del c.d. 41 bis sulla carta esiste, ma nella realtà attuale è solo una detenzione molto più tranquilla rispetto a coloro che sono incardinati nei circuiti di non 41 bis. Un soggetto da carcere “duro” usufruisce in meno solo di qualche colloquio, per il restante vive in camera da solo, effettua tutte le attività interne ed usufruisce di qualsiasi beneficio dettato dall’Ordine Penitenziario.
Credo che vivere in queste condizioni tutto si può dire tranne che carcere duro.
Quali cose andrebbero cambiate a suo avviso nella gestione carceraria italiana?
Lo dico in modo stringente perché trattasi di un progetto per qualcuno assurdo e fuori dalle logiche penitenziarie attuali. In primis la detenzione deve essere regionalizzata per tutti i non condannati definitivi e creare istituti penitenziari in regioni meno oppresse dalle varie mafia, camorra, ecc dove dovrebbero essere assegnati solo detenuti definitivi con serie possibilità di lavoro anche per un futuro reinserimento sociale. Tutto ciò eviterebbe le varie traduzioni dei detenuti per motivi processuali dando maggior sicurezza e spreco di denaro pubblico per le movimentazioni.
Tutto ciò anche per non sottoporre i familiari a spostamenti settimanali tra regioni diverse per un piccolo colloquio. Immettere all’interno delle carceri sistemi tecnologici avanzati sia per quanto riguarda la sicurezza sia affinché la popolazione detenuta possa sfruttare tali sistemi per la cultura o immissioni future nel mondo del lavoro acquisendo professionalità e attestazioni inerenti il loro percorso interno.
Dobbiamo ricordarci che esistono circa quarantamila persone che non appartengono obbligatoriamente ai circuiti dell’alta delinquenza per cui va rivista anche le assegnazioni degli stessi che non devono essere detenuti due volte, una perché hanno commesso un reato, e due perché vengono sottoposti a regimi detentivi decisi da altri soggetti detenuti e non previsti dall’O.P.
Ultimo mio pensiero, strutture nuove, aumento personale e più presenza nelle varie commissioni interne, maggior garanzia di trasparenza del carcere per tutti, con la presenza assidua dei Magistrati di Sorveglianza e meno garanti fuorusciti dal cappello di un prestigiatore, che attualmente gestiscono quasi tutto.
Di Francesco Militello Mirto – EmmeReports