Dasililla De Oliveira Pecorella, brasiliana, da 18 anni in Italia, è componente della Presidenza e Coordinatrice contro la tratta di esseri umani all’interno della Consulta delle Culture di Palermo.
Parliamo subito di Silvia Romano. Dopo mesi di prigionia, finalmente, viene liberata e riportata in Italia. Dovremmo essere tutti contenti ed invece.
Ed invece viene criticata perché durante la prigionia ha trovato la fede ed il conforto di chi, magari, ha cercato di farle patire meno sofferenze.
Diciamo che è inammissibile criticare qualsiasi scelta personale ma lo è ancora di più verso una ragazza di 23 anni che ha scelto di partire per fare volontariato e non ha sicuramente scelto di essere rapita.
Molti puntano il dito sul vestito di Silvia, sulla sua conversione e sul pagamento di un riscatto.
Tutto questo è molto deplorevole, ritorno a dire che le scelte personali non devono essere oggetto di discussione e stiamo parlando di fede, affetti: situazioni che ricadono in una sfera intima e personale che riguardano solo Silvia. Tra l’altro ho notato come sia assurdo che la maggior parte dei commenti negativi provengano proprio dalle donne.
Strano ma vero.
E’ vero, anche strano ma, soprattutto, assurdo. Parliamo tanto di panchina rossa, di manifestazioni contro la violenza sulle donne e poi noi donne cadiamo in questa trappola. Dovremmo fare squadra, appoggiare questa nostra ragazza ed invece. Non mi sognerei mai di criticare, bisogna accettare e guardare le scelte che ognuno di noi liberamente vuole fare.
E tu cosa vedi in Silvia Romano?
Io vedo una ragazza che si è prodigata nell’andare a fare volontariato in Kenya, per aiutare quelle persone, perché si sentiva di farlo lì e, magari, in nessun altro posto del mondo. Chi sono io per giudicarla?
Inviterei invece tutti quanti a guardare a ciò che è veramente importante: Silvia è tornata a casa, sta bene ed ha anche trovato una fede, una sua serenità mentale. Punto.
Il Governo, a livello mediatico, poteva agire diversamente per “proteggere” Silvia?
Il Governo italiano ha una forte tendenza a spettacolarizzare certe situazioni, magari sfruttandole a proprio vantaggio. Rimane comunque una bellissima notizia che andava data, magari evitando il “circo mediatico” che ne è poi risultato e che ha, in qualche modo, esposto ulteriormente Silvia.
Quanto è difficile per una donna fare accettare le proprie scelte?
Agire fuori dagli schemi imposti dalla società rimane molto difficile. Non dimentichiamo che le tantissime critiche a cui è stata esposta Silvia ricadono nella sua sfera di donna. Ha subìto la violenza degli haters a cui la maggior parte delle donne è esposta quando decide di uscire da quello schema che la vede per forza “figlia-moglie-mamma”.
Una violenza verbale che bisogna sempre evitare che non sfoci inevitabilmente in quella fisica?
Esatto, ho sentito della possibilità che possa essere messa sotto protezione per alcuni messaggi ricevuti via Facebook. E’ una situazione grave, e so di cosa parlo.
Anche tu hai vissuto una esperienza drammatica per colpa di uno stalker.
Una vicenda che è partita nel 2016 con minacce di morte, anche verso i miei familiari. So cosa voglia dire stare sotto protezione e quanto sia anche difficile per una donna avere il coraggio di denunciare. Parlo di coraggio, perché significa rivivere ogni volta una situazione che si vorrebbe solo dimenticare.
In questi casi è molto importante la presenza dello Stato, cosa puoi dirci in merito?
Ho avuto la fortuna di trovare in questa mia vicenda una squadra di Polizia presente e professionale. Una squadra a maggior numero di uomini che ha svolto con capacità il compito di sostegno e protezione assegnato. E’ chiaro che avere una donna davanti può spingerti a parlare in maniera più libera o magari a mostrare, con minore vergogna, i segni delle violenze subite. Penso però che sia importante la professionalità dell’operatore, non il suo sesso.
Se invece parliamo dei Media. Pensi che il giornalismo stia trattando l’argomento della violenza sulle donne in maniera adeguata?
Non sempre. Devo ammettere che mi sale la rabbia nel vedere i quotidiani che inseriscono la foto sorridente del carnefice insieme alla sua vittima. Sembra quasi che si volesse sminuire l’accaduto, ma stiamo parlando sempre di un omicidio che non trova giustificazioni. Ci sono titoli assurdi che invece “giustificano” una cultura di violenza e di possesso. Dovrebbero prestare più attenzione nel formulare certi titoli: in questo periodo di Covid 11 donne sono state uccise.
di Antonio Melita e Francesco Militello Mirto – EmmeReports