Giuseppe Addamo, insieme a Federico Stefani e Paolo Milan, ha ideato il “rivoluzionario” e Made in Italy Vaia Cube. Secondo la rivista statunitense Forbes sono tra i “cento giovani leader del futuro” per il settore impresa sociale.
Ciao Giuseppe, cosa si prova ad essere tra i “cento giovani leader del futuro”?
È un’emozione strana, difficile da spiegare. Da una parte non comprendi bene cos’hai fatto di tanto speciale per meritarti questo straordinario riconoscimento, dall’altra pensi a tutte le notti insonni spese a lavorare e capisci che ne è valsa la pena, crederci fino in fondo.
È sicuramente un onore essere menzionato da Forbes tra i “cento giovani leader del futuro”, per il team e per le persone che hanno visto nascere il progetto VAIA. D’altro canto, siamo anche investiti di una grande responsabilità: portare avanti un modello originale e innovativo di impresa sociale.
E noi ci impegneremo giorno dopo giorno per essere all’altezza delle aspettative e delle speranze che ci sono state affidate.
Parafrasando il celebre film dei fratelli Coen, il nostro non è un Paese per vecchi, ma neanche per giovani che spesso sono costretti ad emigrare. Il progetto Vaia è un Made in Italy, quindi?
Ho un post sui miei social su questo tema, in cui parlavo proprio dei giovani figli della Sicilia che lasciano la loro amata terra per realizzarsi, per realizzare un futuro migliore. Perché siamo in tanti, ad aver fatto le valigie senza sapere quel che ci aspettava, che abbiamo dormito in stanze fatiscenti, che ci siamo improvvisati lavoratori di qualunque sorta, che abbiamo visto i nostri anziani incanutirsi e i nostri piccoli crescere da lontano.
Emigranti, quindi?
Sì, noi siciliani sappiamo benissimo cosa significa “emigrare”. Io ho avuto la fortuna di restare, lavorando su questo progetto che reputo profondamente italiano, perché racchiude bellezza, natura, artigianato, amore per il proprio territorio: tutti elementi che noi italiani sentiamo distintamente nostri, in particolar modo noi siciliani.
Parlaci un po’ dei tuoi compagni di avventura: abbiamo Federico che cita Walt Disney e poi Paolo che richiama il raggiungimento dei traguardi con Goethe.
Federico è la mente che ha ideato il progetto iniziale, da cui poi è nata la startup. Lui ha vissuto sulla sua pelle gli effetti devastanti della tempesta e ha voluto trovare una risposta a quello che era successo con un oggetto che rappresentasse un veicolo di rinascita per quei territori. È un visionario e crede moltissimo nel lavoro di squadra.
Paolo è il nostro compagno di viaggio: è una cima con i numeri, gestisce tutti gli aspetti amministrativi e finanziari in modo diligente e meticoloso. Diciamo sempre che Paolo è “le gambe di Vaia”, senza di lui l’intero progetto non potrebbe andare avanti. Vaia ci ha reso più che amici: siamo fratelli e sappiamo di poter contare l’uno sugli altri.
Questa sarebbe rientrata a pieno titolo nelle news del giornale “La Bella Notizia”. Qual è lo stato di salute, secondo te, dei media in Italia e, soprattutto, è proprio impossibile orientare i lettori verso il bello piuttosto che verso i tradizionali sangue, soldi e sesso?
Un paio di anni fa, quando ero più idealista e avevo più tempo libero – magari le due cose sono correlate – avrei voluto fondare un giornale. Proprio “La Bella Notizia” mi sarebbe piaciuto chiamarlo.
L’idea era: ribaltiamo il concetto che i media debbano esasperatamente parlare di omicidi, tragedie, scandali. Proviamo, piuttosto, a dare spazio ad atti di “eroica normalità”.
Casi di buona sanità, di sana politica, di imprese virtuose, di lavoratori onesti, realtà che a mio modo di vedere reclamavano una loro dignità, che meritavano un loro spazio nel percepito culturale e sociale delle persone, insistentemente bombardate da cattive notizie. Vaia aspira a essere anche questo: un amplificatore di storie belle, che diano messaggi positivi a un Paese che troppo spesso si dimentica di essere straordinario.
Come stai trascorrendo questo periodo di isolamento? Quale sarà la prima cosa che farai al termine dell’emergenze Covid19?
In questo momento lavoro da casa, isolato un po’ come tutti. Sappiamo però che lo facciamo per un valido motivo, quindi è giusto essere pazienti. Spero presto di poter riabbracciare i miei amici e i miei familiari, che non vedo fisicamente da troppo tempo. La prima cosa che farò quando questa emergenza sarà finita? Andare al mare, sicuramente.
Visto che hai le competenze giuste: dai tu il titolo a questo articolo.
Il titolo potrebbe essere “Dalle Alpi all’Etna: storia di tre giovani imprenditori intenzionati a far rinascere la foresta a suon di musica”.
Ringrazio di cuore Antonio Melita per avermi dato l’opportunità di raccontare un po’ di Vaia e mando un caro saluto a tutti i lettori di EmmeReports, confido di non avervi annoiato.
Se volete saperne di più, vi rimando al nostro sito: www.vaiawood.eu
di Antonio Melita – EmmeReports