A combattere il Covid-19 è sceso in campo anche l’Esercito Italiano, così come le altre Forze Armate del nostro Paese. Donne e uomini in uniforme del comparto sanitario stanno dando il loro contributo insieme a tutti i loro colleghi civili, con i quali, condividono le stesse corsie, gli stessi indumenti di protezione.
Il Ten. Col. Papale è uno di loro. Un medico cardiologo del Reggimento Logistico della Brigata Julia di Merano. L’abbiamo intervistato alla fine di una lunghissima giornata di lavoro nell’ospedale di Bergamo.
Che situazione ha trovato a Bergamo?
Noi siamo arrivati qui nel pomeriggio di domenica 15 marzo e Bergamo era ed è ancora sotto questo attacco gravissimo da parte di questo virus e quando siamo stati accompagnati per le varie “procedure di acclimatamento” e affiliazione dei percorsi conoscitivi, ci siamo resi conto che l’ospedale era completamente riconvertito a reparto Covid, un’assoluta necessità di aiuto e nel nostro piccolo, come Esercito, abbiamo cercato di inserirci in questo scenario, per renderci utili e per dare un sostegno.
I numeri che quotidianamente ci fornisce la Protezione Civile sono reali o ci sono molti più decessi?
Non ho i numeri per confutare la Protezione Civile. Onestamente non credo che nessuno abbia interesse a mistificare i numeri ufficiali. Forse sfugge qualche numero dei decessi delle persone che rimangono in casa.
Per esperienza acquisita in questi giorni, persone oltre i 75 – 80 anni, quando si ammalano di questa patologia che purtroppo è diventata ormai piuttosto frequente, le famiglie preferiscono tenerle in casa e quindi non vengono diagnosticate in modo ufficiale, col tampone e la classica trafila da ospedale. E qualcuno di questi ad esito infausto non rientra nei numeri ufficiali della Protezione Civile.
L’immagine della colonna di mezzi militari che trasportavano le bare dei morti per il coronavirus ha fatto il giro del mondo e ci ha scioccato. Si aspettava nella sua carriera un’esperienza del genere?
Quelle donne e uomini che portavano quei camion sono del mio reparto, del Reggimento Logistico Julia di Merano, dell’Esercito Italiano. È stata sicuramente un’immagine molto forte, surreale. In quel momento e con quel silenzio, ho visto molto forte il senso dello Stato, la presenza dell’Esercito, la professionalità, l’umanità delle persone che hanno messo il loro grande impegno e il loro lavoro per affrontare questo momento. Un trasporto così doloroso alla quale non eravamo preparati.
Qual è il contributo dell’Esercito in questa emergenza e in particolar modo a Bergamo?
Ci sono altre Forze Armate e siamo una ventina di medici distribuiti nei vari reparti, Covid, Pneumologia, altri nei servizi della medicina del lavoro e qualche altro collega è stato affidato ai servizi territoriali, dove molti medici avevano interrotto l’attività per la malattia, quindi nelle guardie mediche e nella medicina generale. Quindi siamo presenti in ospedale e nel territorio, per l’esigenza dei ricoverati ma anche per la popolazione.
È nota a chi è stato in Afghanistan l’importanza dei ROLE medici, dal punto di vista della qualità in tutti i settori. A livello di infettività e protezione come sono messi gli ospedali italiani invece?
In teatro operativo, generalmente, l’attività sanitaria è diversa da quella che siamo chiamati a prestare qui. L’attività è solitamente di supporto alle truppe sul campo e solo marginalmente si deve occupare di patologie infettive, qualora se ne presenti qualcuna. Negli ospedali italiani, probabilmente, qualcosa non ha funzionato e laddove possibile i militari hanno cercato di portare le procedure che per loro sono più usuali, forse perché più abituati a rispettare certi criteri sanitari e igienici. Quando tutto questo sarò finito bisognerà ripensare alcuni processi epidemiologici, virologici e di sanità per capire che cosa si poteva fare di meglio e che cosa non ha funzionato nel modo ottimale. Ma in questo momento c’è l’emergenza da fronteggiare. Ci penseremo dopo.
Quali requisiti psicologici, caratteriali bisogna avere per affrontare questa emergenza dal punto di vista di un medico in prima linea?
Ognuno ha il proprio carattere e vive la propria emozione in modo personale. Una cosa che cerco di attuare io è quella di rimanere sempre lucido, perché il rischio del contagio c’è, perché la guardia va tenuta alta, non bisogna farsi prendere troppo dal timore, dal panico del contagio, ma mettere in atto tutte le procedure che servono a mantenersi puliti da questo punto di vista.
C’è posto per la paura, il timore di restare infettati quando si interviene su un paziente?
La paura e il timore devono essere lo stimolo a fare bene, a proteggersi, ad attuare tutte le procedure previste. La paura deve essere un campanello d’allarme che fa alzare le difese. Certo il timore viene ad ognuno di noi, pensando soprattutto alla famiglia, ma non deve prendere mai il sopravvento, emotivamente parlando, bisogna restare razionali e lucidi.
È importante il lato umano o è preferibile un distacco tipo “tu sei il paziente, io il medico”?
Al momento ci sono 73 medici morti. E’ impossibile fare il medico senza entrare in contatto con il paziente, non solo fisico ma umano, il paziente sente la vicinanza e deve percepire l’appoggio delle persone. Non bisogna sbilanciare troppo dall’altro lato, perché troppa emotività e troppa empatia rendono meno lucide e meno chiare le cose che dobbiamo metter in atto. Non si può fare il medico rimanendo lontani dal paziente. Purtroppo il numero dei colleghi caduti conferma questa teoria.
In questo momento l’Italia, il mondo intero è in guerra contro un nemico invisibile. Il Santo Padre ha detto che “medici, infermiere e infermieri… sono persone comuni che non compaiono nei titoli dei giornali…” La vita umana è, dunque, nelle vostre mani. Sente questa responsabilità? Si sente un Eroe?
Sinceramente non ci sentiamo degli eroi. Nessuno la mattina si metta il camice come se mettesse un mantello da eroe. Faccio la mia parte, come la fanno tutti i colleghi che lavorano nel settore sanitario, le cui qualità umane sono veramente confortanti. L’eroismo è un’altra cosa. Siamo in un momento drammatico per il nostro Paese e non solo. C’era bisogno di tutti quelli che potevano dare una mano, ognuno con le proprie competenze e capacità.
Penso che quando tutto questo sarà superato, sarò un brutto ricordo, così come lo sono i ricordi di guerra di chi li ha vissuti. Però sarò un momento che avrà riposizionato l’Italia e il Popolo Italiano in un contesto molto più fraterno. Io vesto l’uniforme dell’Esercito, quindi sento molto il sentimento della Patria e dell’unione, soprattutto quando vedo esposti i tricolori nei balconi, quando la mattina vado a lavoro. Mi è capitato di girare in ospedale con l’uniforme e di essere ringraziato da donne e uomini che non conoscevo, una cosa a cui non ero abituato!
Cosa le resterà di questa esperienza?
Un’esperienza umana formidabile, l’aver conosciuto personale sanitario che ha dedicato e continua a dedicare in un modo che travalica la professionalità, ogni briciolo di energia per i pazienti ricoverati, in gravissime difficoltà e in pericolo di vita. Una pagina importante dal punto di vista professionale e umano. Non è una cosa che non lascia il segno. Le esperienze fatte con colleghi mai conosciuti prima, con il quale si è creato subito un’intesa. Probabilmente se dovessi rincontrarli in futuro non riuscirei a riconoscerli, essendo tutto il giorno con mascherine, cuffie in testa! Giochiamo tutti nella stessa squadra, indossiamo tutti la stessa “uniforme”.
C’è ancora chi sottovaluta il problema del contagio. Anche a Palermo, nonostante i continui appelli delle autorità locali, le persone sfidano i divieti ed escono di casa senza precauzione alcuna. Cosa si sente di dir loro trovandosi in trincea e avendo a che fare tutti i giorni con dolore e morte?
Credo che non sia accettabile! E’ difficile accettare dal punto di vista dell’intelligenza umana, poter tollerare comportamenti che mettano a rischio l’incolumità pubblica. Anche se vanno lentamente riducendosi i numeri dei contagi e dei morti, grazie al distanziamento sociale che abbiamo attuato nelle ultime settimane, non dobbiamo allentare le maglie. Se l’unico linguaggio compreso è quello della repressione e dei controlli delle Forze dell’Ordine, resta solo questo.
Grazie e buon lavoro Ten. Col. Papale!
Di Francesco Militello Mirto – EmmeReports
Foto Esercito Italiano