Nella giornata dedicata a Dante Alighieri, l’attore palermitano Vincenzo Pirrotta, legge il V canto dell’Inferno della Divina Commedia e discute di amore, coronavirus e cinema.
Oggi per il Dantedì hai deciso di leggere il V canto dell’Inferno: quello dedicato ai lussuriosi. Perché proprio questo canto?
Ho scelto il V canto dell’Inferno perché sin da quando da ragazzo lessi quel verso a tutti conosciuto “amor c’ha nullo amato amar perdona” mi sono interrogato sulla bellezza di quest’endecasillabo e ho riflettuto sul senso dell’amore che va oltre la vita ma che anche supera la ragione.
In fondo l’abbandonarsi all’altro è un cedimento della mente che è la roccaforte della ragione, mi viene in mente ora quella frase che Platone scrive nel suo “convito”: Amore è un demone possente che sta tra i mortali e gli immortali.
Cosa è per te la lussuria ai tempi del Coronavirus?
La lussuria al tempo del Coronavirus può diventare qualcosa che in altri tempi ci era indifferente o per la quale non nutrivamo alcun desiderio. Potremmo vivere questo tempo godendo della riscoperta di certe cose, certe azioni.
Vivere questo periodo di solitudine andando a ricercare se stessi o una parte di “sé stessi” che credevamo sopita. Rileggere un libro che non abbiamo aperto per lungo tempo, vivere una dimensione eremitica che può soltanto fare bene al nostro spirito.
Per i credenti trovare il tempo per pregare ritrovando, se si era persa, una comunione con Dio. Insomma il godimento, non necessariamente deve essere vizioso o peccaminoso.
Quella di Paolo e Francesca è una storia dove oltre all’amore narrato emerge una profonda pietà che porta il sommo poeta addirittura a svenire. Egoismo, paura del contagio e caccia agli untori, sembrerebbe proprio che oggi la pietà l’è morta, che ne pensi?
Non mi pare che la pietà sia morta, mi capita più di altri giorni di vedere la tv, che non amo particolarmente, per informarmi, e una cosa mi ha colpito il senso di profonda e sincera commozione, di pietà nei confronti di tutte quelle persone che sono morte da sole senza il conforto dei propri cari nei loro ultimi istanti, ognuno di noi se potesse andrebbe ad abbracciarli tutti.
L’immagine delle bare dentro i carri militari in corteo verso i cramatoi ha plasmato il nostro animo di un’immensa pietà.
Sicuramente stai riducendo gli spostamenti e passi molto tempo a casa. Come dedichi il tempo libero?
Sto scrivendo la sceneggiatura di un film e lavoro a distanza con il mio co-sceneggiatore al mattino. Al pomeriggio e a sera leggo o guardo dei film o delle serie che mi ero perso, e poi cucino, la cucina è un passatempo che amo, oltre che mangiare le torte che prepara mia moglie.
Parliamo delle ultime esperienze cinematografiche. Luciano Liggio ne Il Traditore? Cai il Sabino ne Il primo Re? Qual è stata l’interpretazione più difficile?
Senza dubbio Cai ne il primo Re, per le asperità che il set poneva, abbiamo girato spessissimo quasi nudi nel fango e sotto la pioggia, e poi la difficoltà delle battaglie fatte con armi vere e senza controfigure, e vi assicuro che le coreografie non erano affatto semplici ne ricordo una in cui gettavo con un calcio un nemico in una colonna di fuoco e dopo gli lanciavo un’ascia nel petto girata alle due di notte in una cava di zolfo.
Però calarsi nei panni di una bestia come Luciano Liggio anche quello non è stato semplice.
Cosa ti sei promesso di fare appena terminerà questa drammatica situazione?
Come anticipato, sto preparando il mio primo lungometraggio da regista, ma poi ancora tanto teatro in autunno dovremmo debuttare con “Baccanti” di Euripide in cui interpreterò Penteo per la regia di Lura Sicignano e che andrà in tour in tutta Italia.
Perché tutto andrà bene sono sicuro che tutto andrà bene.
di Antonio Melita – EmmeReports